23 Settembre 2011
REGIONE VS ALLEVAMENTI E LOTTA BIOLOGICA

L’Emilia Romagna è diventata più povera negli ultimi dieci anni perdendo un patrimonio insostituibile in uno dei settori di punta come è l’enogastronomia. Dal 2000 al 2010, secondo i dati del censimento dell’agricoltura, hanno chiuso i battenti 9.301 allevamenti, tra mucche, maiali e pecore, fonte di prodotti d’eccellenza come il Parmigiano Reggiano, il prosciutto di Parma, il culatello. In pratica in dieci anni hanno serrato i battenti 2,5 allevamenti al giorno e il trend è destinato a crescere se la Regione continuerà nel suo atteggiamento di prima della classe.
E’ quanto afferma Coldiretti Emilia Romagna alla luce del nuovo piano di applicazione della direttiva nitrati predisposta dalla Regione senza una adeguata consultazione delle parti interessate e ignorando le intese sottoscritte con le altre regioni. “Il piano della Giunta regionale – afferma il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, Mauro Tonello – addossa agli allevamenti nuovi insostenibili fardelli burocratici e mette a rischio la possibilità di praticare correttamente l’agricoltura biologica”.
Le nuove norme costituiscono – secondo Coldiretti – una vera e propria fuga in avanti, che ignora lo schema di accordo approvato dalla Conferenza Stato-Regioni all’inizio dello scorso maggio. Accordo che subordinava l’applicazione della normativa alla realizzazione di una indagine finalizzata all’aggiornamento della delimitazione territoriale sottoposta a vincolo e a una revisione più complessiva degli adempimenti a carico delle imprese agricole. “Si tratta di un accordo – spiega Tonello – che gettava le basi per un piano di bacino tra le cinque grandi regioni del Nord maggiormente interessate, Veneto, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, oltre ad Emilia Romagna, ed impegnava lo Stato Italiano a sostenere l’accordo stesso di fronte a Bruxelles. Niente di tutto questo è avvenuto e c’è il rischio che a pagarne le conseguenze siano i 10 mila allevamenti regionali”.
Il testo predisposto dalla regione – denuncia ancora Coldiretti – è chiuso a qualsiasi ipotesi di innovazione, non parte da adeguati studi analitici per la delimitazione delle aree realmente a rischio e rivedere quindi il quadro delle zone vulnerabili, dove spesso i vincoli eccessivi hanno creato un impoverimento della sostanza organica dei terreni, con la conseguenza di avere aziende meno competitive. Ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che il piano non contempla l’adozione di nuove tecnologie per l’abbattimento dell’azoto. Di fatto impedisce l’uso del letame per fertilizzare il terreno, annullando uno dei presupposti dell’agricoltura biologica, che prevede fertilizzanti organici, e di conseguenza dando via libera ad un maggior uso di concimi chimici.
“Ci troviamo di fronte ad una situazione analoga a quella degli inizi degli anni Novanta – ricorda il presidente di Coldiretti regionale – quando l’amministrazione regionale, con l’intento di salvaguardare il Po e il mare Adriatico sottopose gli allevamenti a tutta una serie di adempimenti, che ebbero il solo effetto di traghettare i maiali dalla sponda destra a quella sinistra del Grande Fiume. Il risultato di questo beato isolamento – commenta Tonello – fu un nulla di fatto sul fronte ambientale, in quanto gli scarichi sul Po e l’Adriatico rimasero praticamente gli stessi, mentre ci fu una perdita economica per l’Emilia Romagna perché molte imprese, messe in condizioni di svantaggio competitivo rispetto a quelle di altre regioni, furono costrette a chiudere, con la conseguenza che tra il 1990 e il 2000, in Emilia Romagna serrarono i battenti più di 18 mila allevamenti tra bovini e suini. Riusciranno i nostri amministratori ad essere questa volta un po’ più illuminati?”.

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