21 Giugno 2011
MADE IN ITALY

Ci sono i salumi emiliano romagnoli, con in testa il prosciutto di Parma, tra i prodotti più falsificati presenti al primo “Salone degli inganni” aperto questa mattina a Roma dal presidente di Coldiretti Sergio Marini a Palazzo Rospigliosi, in occasione della presentazione del Primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, realizzato da Coldiretti ed Eurispes.
“Il fatto che in Italia – sostiene il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, Mauro Tonello – siano state importati 63 milioni di cosce di maiale dall’estero a fronte di una produzione nazionale di 26 milioni di cosce sta a significare che tre prosciutti su quattro venduti nel nostro Paese in realtà derivano da maiali allevati all’estero, anche se agli occhi dei consumatori sembrano tutti italiani”.
A danneggiare la produzione nazionale e quella regionale – commenta Coldiretti – è soprattutto il fenomeno dell’italian sounding, la forma più diffusa e nota di contraffazione e falso Made in Italy nel settore agroalimentare. Sempre più spesso, l’agropirateria internazionale utilizza, infatti, denominazioni geografiche, marchi, parole, immagini, slogan e ricette che si richiamano all’Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale. A livello mondiale, le stime indicano che il giro d’affari dell’Italian sounding superi i 60 miliardi di euro l’anno (164 milioni di euro al giorno), cifra 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari (23,3 miliardi di euro nel 2009).
A farne le spese ci sono soprattutto prodotti dell’agroalimentare emiliano romagnolo, con in testa il Parmigiano Reggiano, il formaggio più imitato al mondo, seguito dai salumi, con imitazioni di pancetta, coppa, prosciutto, che hanno, ad esempio, il nome Busseto, ma vengono prodotti in California. A fianco di queste imitazioni, ci sono anche prosciutti ottenuti da maiali olandesi, ma addobbati con tanto di fascia tricolore, che li “trasforma” automaticamente in italiani.
Il fatto che per le carni suine non sia obbligatoria l’indicazione dell’origine, con l’esclusione dei prodotti Dop e Igp, complica ulteriormente la situazione e incentiva gli inganni verso il consumatore. L’esigenza di abbattere i costi spinge l’industria alimentare ad approvvigionarsi di materie prime sui mercati esteri con regole di produzione diverse dalle nostre. Questo si traduce in un rischio per la filiera agricola italiana con crollo dei prezzi alla produzione (oggi la carne di maiale viene pagata al produttore 1,30 euro al chilogrammo, al di sotto dei costi di produzione e inferiore addirittura ai prezzi di 10 anni fa).
“A farne le spese ovviamente – ricorda Tonello – è anche il consumatore che viene ingannato sull’origine di ciò che mangia. Coldiretti perciò è impegnata a combattere questo stato di cose, con il suo progetto di filiera agricola tutta italiana perché si arrivi alla più completa trasparenza sul mercato e perché vengano indicati come italiani solo gli alimenti in cui tutti i processi, dalla produzione alla lavorazione e trasformazione avvengano in Italia”.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Approfondisci

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi